LA RIFORMA EUROPEA SUL COPYRIGHT
Rivoluzione nella rivoluzione digitale: di questo si tratta perché dopo oltre due anni di negoziati, il 26 marzo, è stata approvata dalla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, la direttiva europea sul Copyright nel mercato unico digitale.
La riforma introduce nuovi principi nella tutela della proprietà intellettuale.
Già da tempo l’accordo veniva considerato da molti come un passo fondamentale per correggere una situazione che ha permesso a pochi gruppi di guadagnare ingenti somme di denaro senza remunerare adeguatamente le migliaia di creativi e giornalisti da cui dipendono.
Un percorso mirato, secondo alcuni, ad ostacolare l’attività delle grandi aziende egemoni nell’ambito della comunicazione, che impone la necessità di filtri preventivi agli upload e l’obbligo di accordi tra piattaforme ed editori.
LIBERTÀ VS REGOLE
Dal momento in cui il mondo ha dovuto fare i conti con una innovazione tecnologica così abnorme e rivoluzionaria da cambiare radicalmente, insieme a tanti altri ambiti, anche i costrutti del copyright nel giro di pochi anni, questo settore è entrato in una situazione di stress che ha visto opposte fazioni contrapposte.
Si è trattato di una divergenza di vedute che ha portato utenti, esperti, professori, case discografiche, autori e grandi piattaforme a scontrarsi sul paradigma: il copyright deve prevalere sul Web, o il Web deve scrollarsi da eccessive responsabilità sul controllo e la gestione dei diritti di proprietà intellettuale? In che misura occorre responsabilizzare i diversi attori del settore?
CON LA RIFORMA COSA CAMBIA?
Il copyright deve prevalere sul Web, o il Web deve scrollarsi da eccessive responsabilità sul controllo e la gestione dei diritti di proprietà intellettuale?
In che misura occorre responsabilizzare i diversi attori del settore?
Allo scopo di evitare che in rete confluisca materiale privo della necessaria autorizzazione da parte dei legittimi titolari, prima di tutto le piattaforme web saranno responsabili dei contenuti caricati dagli utenti, con “obbligo generale di cooperazione” verso i creatori delle opere digitali.
I colossi della rete tra cui Facebook e Google, da ora dovranno condividere con artisti e giornalisti i loro guadagni. Addirittura si parla di “remunerazione aggiuntiva” per lo l’utilizzo dei loro diritti nel caso in cui la remunerazione concordata risultasse troppo bassa in proporzione ai benefici che ne traggono le piattaforme
Ciò che ci promettono i nostri amici big è un mondo nel quale la vita reale e la tecnologia si mescolano senza soluzione di continuità. Avremo un mondo fatto di meno distrazioni tecnologiche e di perfetto equilibrio in una sorta di hitech-zen…sta a noi decidere che cosa fare con questo nuovo approccio.
CHI È ESCLUSO DALLE REGOLE DELLA DIRETTIVA?
Le startup sono sottoposte ad una regolamentazione più leggera.
Inoltre vengono espressamente esclusi dal campo di applicazione della direttiva gli articoli brevi potranno continuare ad apparire in un newsfeed di Google News, o su Facebook, solo nel caso, però, che siano molto brevi.
A riforma approvata, da una parte, troviamo i vincitori cioè gli editori e gli artisti, che conquistano il riconoscimento di tutti i diritti d’autore: per loro il voto del Parlamento e, quindi, le direttive della riforma, rappresentano una vittoria della ragione, del buonsenso e della dignità del lavoro.
Dall’altra parte della barricata, i grandi di Internet (Google in testa) che denunciano come le nuove norme abbiano a che fare con la censura e minaccino la libertà di espressione propria del web, creando un impatto negativo sulle economie creative e digitali dell’Europa.
UN'AZIONE NECESSARIA?
Una regolamentazione era senz’altro necessaria; vedremo se l’applicazione della riforma porterà verso una nuova era nel campo del copyright senza imbavagliare la libertà di stampa e di espressione.
In ogni periodo della storia moderna artisti, intellettuali, giornalisti, editori, hanno dovuto contrattare con lo status quo vigente, circa la loro libertà di espressione con risultati alterni in misura proporzionale all’egemonismo dello stato. Con l’estensione di questo processo alla rete, l’atavico conflitto si fa senz’altro più complesso e assume, forse, connotati più economici che filosofici e ideologici.